PER CHI SUONA LA CAMPANELLA?

Ogni anno in settembre, quando comincia l’anno scolastico, le donne nelle cartolerie dei sobborghi comprano i libri di scuola e i quaderni per i loro bambini.   Disperate cavano i loro ultimi soldi dai borsellini logori, lamentando che il sapere sia così caro. E dire che non hanno la minima idea di quanto sia cattivo il sapere destinato ai loro bambini

(B. Brecht)

Oltre i cancelli, tra le nubi dei gas di scarico e la calca dei genitori, i bambini sono pronti a scattare. Quest’anno cambio scuola, non conosco né la nuova responsabile che comunica via whatsapp, né con chi mi tocca lavorare. Mi piace dire “con” anche se molti colleghi ormai accettano di “stare su” qualcuno, senza mettere  minimamente in discussione la condizione asimmetrica di potere che intercorre tra l’operatore ed il bambino. Mi vengono fornite indicazioni veloci, cognome e classe, prima che la campanella decreti l’apertura delle porte. In un giorno vedo quattro bambini ed il giorno successivo sto “su altrettanti”. Anche quest’anno si parte a singhiozzo, anzi con un servizio strozzato dai tagli. Come se non bastasse, la referente della scuola mi dice che noi dovremmo tappare i buchi, visto che le insegnanti di sostegno non sono sufficienti. Insomma ci tocca fare il baby-sitteraggio. Per ora è sufficiente la sola presenza, ma voci di corridoio mi dicono che ormai è la normalità in quest’istituto. Non mi sento molto diverso da quel bambino che la mia collega sta contenendo su un gradino delle scale, ma io non posso permettermi di sbroccare, devo restare freddo con il fuoco dentro.

Continue reading

UNA GIORNATA PARTICOLARE

La storia che racconto ha inizio nel torinese nel 2006 ed ha bisogno di una premessa. All’epoca lavoravo come operatore addetto alla manutenzione del verde e quando le condizioni climatiche impedivano il lavoro, in una casa famiglia di un’associazione noprofit. Quest’associazione, nel corso degli anni 80 aveva costituito una cooperativa di produzione lavoro che poi aveva cominciato fornito ai suoi soci un paio di strutture abitative dove cominciò ad integrarsi un progetto terapeutico per gli ospiti. Nel 1998 il fondatore di questa cooperativa morì lasciando ai soci il compito di proseguire il lavoro. Il consiglio di amministrazione, era costituito in prevalenza da persone della Conf Cooperative di Torino.

Continue reading

TRACCIATI SOTTERRANEI

Viaggio nella metro C nel pomeriggio autunnale di Roma. Nei dintorni i corpi seduti si rispecchiano stanchi negli schermi dei dispositivi, alcuni rompono le palle colorate ed altri si occupano di se interagendo nella grande rete virtuale, infine sopra alcuni immagino la nuvoletta con il pensiero “ questo lavoro mi sta uccidendo”. Gli ultimi saliti a bordo sono appesi come con le crucce ai sostegni, qualcuno ascolta la sua musica preferita, pochi coraggiosi con una mano tengono aperto un libro da leggere mentre il treno avanza con ritmo sincopato verso est senza che il conducente sia visibile. Tra questi ultimi, scorgo un volto che mi è familiare. Ci osserviamo in silenzio.

Continue reading

CONDIZIONI INSOSTENIBILI

Laureato in scienze politiche e sociali all’università di Bari, arrivo a Roma intorno al 2006, comincio a cercare a mandare curriculum in giro e le uniche risposte arrivano da call center e agenzie interinali per riempire scaffali nei supermercati di notte. Squattrinato, senza un euro, in questa città assurda dove una stanza costa 500 euro al mese, accetto senza nessuna motivazione, se non quella economica, questi lavori: pomeriggio ad un call center a Ciampino per Wind, si guadagna in base ai contratti chiusi per telefono con i clienti. Io, per niente bravo, guadagno max 10 euro a pomeriggio; la notte vado a caricare per Manpower gli scaffali nei supermercati (Carrefour e Auchan) e qui ci sarebbe tanto da scrivere, si lavora con contratti di massimo 2 giorni, a 7/8 euro l’ ora, invisibili, dobbiamo scomparire prima dell’ apertura del supermercato, i clienti non devono vederci..

Continue reading

PAROLE OBBLIGATORIE – PENSIERI NECESSARI

Di fronte a certi eventi, sopraggiunge la desertificazione del linguaggio. Non si trovano più le parole. Quelle che ci sono, ci appaiono insufficienti. Inadeguate. A volte irritanti. Bisogna quindi camminare, resistere, fino a incontrare una oasi. Non potrà offrirci quanto necessitiamo, ci aiuterà però a trovare un piccolo conforto. Attenuerà la sete, seppure non togliendola del tutto.
Quanto accaduto, arrogandomi il diritto di interpretare lo stato d’animo di molti di noi, ci ha tolto il respiro. Come se un colpo di mannaia fosse arrivato, improvviso e inaspettato, sulle nostre esistenze. Un colpo vigliacco, alle spalle. Anche se va dritto al cuore. In questi momenti ci si ritrova disorientati, quasi inermi; il peso è di così grandi dimensioni che si dispera da subito di sopportarlo. Si perde la la lucidità. È esattamente in questi momenti però, che bisogna fare del tutto per recuperarla.

Continue reading

L’INCONTRO

“Ero fermo alla stazione aspettando un treno che non arrivava mai. Non sarebbe mai arrivato. Tutt’intorno un deserto, popolato qua e là da gigantesche cattedrali in fiamme. Cintate da muri insormontabili. Milizie armate a loro difesa. Urla e disperazione al loro interno. Ero seduto su una panchina, potevo vederle dall’alto. Come un uccello in volo. Un predatore.
Un uomo dall’enorme cappello a larghe tese si avvicina, semi-offuscato da un sigaro altrettanto enorme. Vedo le sue mani, sono artigli. Gli occhi incavati senza bulbo oculare. 
I suoi artigli fanno cenno a me di andare. Ha inizio la carneficina. 
Gli fracasso la testa sulle rotaie, ne fuoriesce una specie di sangue nero e denso.
Gli rivolto il sigaro nella bocca, che lentamente, lentamente, lentamente, prende fuoco.
Gli artigli si dimenano come seguissero uno swing immaginario, fino a polverizzarsi. Prendo fiato, rido, mi riaccomodo sulla panchina.

Continue reading

IN PUNTA DI PIEDI

Se volete un lieto fine, questo dipende, naturalmente, da dove interrompete la vostra storia.

Quando si racconta una storia che ha a che fare con la disabilità, di solito si racconta di sofferenze e disperazione. Sia chi racconta che chi la vive immagina, la, tra le pieghe, nascosto, un lieto fine. Con il passare del tempo, si comincia a considerare un lieto fine anche ogni piccolo cambiamento, ogni piccola evoluzione. Un espediente effimero, necessario alla sopravvivenza dei familiari e degli operatori che sui singoli casi spendono la propria vita professionale ed emotiva. Un gioco simbolico che permette di andare avanti ad entrambi, operatori e famiglie, e non cadere nelle forme depressive che spesso incontriamo nelle nostre esperienze quotidiane.

Continue reading

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI…

Non saprei dire qual’è il motivo preciso per cui lavoro nel sociale, non ricordo neanche quando ho scelto di intraprendere questa strada. Ricordo però che, fino a qualche anno fa, alle domande “che lavoro fai? Perché?”, avrei risposto che “ho curato attentamente la mia formazione e quel che faccio mi piace, mi soddisfa e mi fa stare bene”. Ora le cose sono cambiate ed il risultato è che non mi sento più a mio agio. Ogni giorno provo come posso a sciogliere i nodi di matasse ingarbugliate ma non arrivo a nulla. Sento di restare sempre intrappolata tra burocrazia, regole delle Cooperative Sociali, impossibilità di far valere la mia professionalità.

Continue reading

Ex-doppia

Improvvisamente, così, senza che una riunione d’equipe decretasse un qualsiasi tipo di evoluzione rispetto ad un piano d’intervento mai discusso, senza che gli attori principali, cioè quelli che se ne erano fatti carico quotidianamente si fossero confrontati, quel caso era tornato ad essere responsabilità di un operatore solo, un’utenza singola. Che cosa era successo? Cosa aveva portato la responsabile del servizio domiciliare a prendere quella decisione? Era forse migliorata la condizione dell’utente? Era migliorata la condizione familiare? Si era arrivati a conclusione di un qualche percorso pianificato?…Macché!

Continue reading