PER CHI SUONA LA CAMPANELLA?

Ogni anno in settembre, quando comincia l’anno scolastico, le donne nelle cartolerie dei sobborghi comprano i libri di scuola e i quaderni per i loro bambini.   Disperate cavano i loro ultimi soldi dai borsellini logori, lamentando che il sapere sia così caro. E dire che non hanno la minima idea di quanto sia cattivo il sapere destinato ai loro bambini

(B. Brecht)

Oltre i cancelli, tra le nubi dei gas di scarico e la calca dei genitori, i bambini sono pronti a scattare. Quest’anno cambio scuola, non conosco né la nuova responsabile che comunica via whatsapp, né con chi mi tocca lavorare. Mi piace dire “con” anche se molti colleghi ormai accettano di “stare su” qualcuno, senza mettere  minimamente in discussione la condizione asimmetrica di potere che intercorre tra l’operatore ed il bambino. Mi vengono fornite indicazioni veloci, cognome e classe, prima che la campanella decreti l’apertura delle porte. In un giorno vedo quattro bambini ed il giorno successivo sto “su altrettanti”. Anche quest’anno si parte a singhiozzo, anzi con un servizio strozzato dai tagli. Come se non bastasse, la referente della scuola mi dice che noi dovremmo tappare i buchi, visto che le insegnanti di sostegno non sono sufficienti. Insomma ci tocca fare il baby-sitteraggio. Per ora è sufficiente la sola presenza, ma voci di corridoio mi dicono che ormai è la normalità in quest’istituto. Non mi sento molto diverso da quel bambino che la mia collega sta contenendo su un gradino delle scale, ma io non posso permettermi di sbroccare, devo restare freddo con il fuoco dentro.

Dopo cinque ore di lavoro, mentre osserviamo mangiare bambini ed insegnanti perchè l’Aec continua a rimanere senza pasto a scuola, si avvicina una collega, sembra ottimista. Spera che qualcuno, lì in alto, ci internalizzi. Non riesco nemmeno più a disperarmi.

Nel frattempo in tanti municipi, la logica del bando ha rimescolato le cooperative a cui sarà affidato il servizio. Vince chi svende il servizio ed offre più ore gratis. Ma, finita la fiera, i saldi peseranno su chi lavora e sulla qualità stessa del servizio. Alla faccia delle clausole sociali ,della salvaguardia dei lavoratori e della continuità con il bambino. Poi molti colleghi, grazie anche al Jobs Act, non vengono né assorbiti dalla cooperativa entrante, né lavoreranno con la cooperativa con cui sono assunti. Nel migliore dei casi qualcuno verrà assorbito con un taglio di ore perché, sembra che, Roma Capitale abbia tagliato le ore destinate a quei bambini che già seguiva. Dovremmo fare un ringraziamento trasversale a tutti gli schieramenti politici di questo regalo di inizio anno scolastico.

Intanto sono sempre di più le persone che passano il tempo in attesa di una telefonata, in attesa di poter riprendere a lavorare. Che dire? Il cottimo è ritornato ed investe anche chi lavora per garantire il diritto allo studio delle giovani generazioni. Dovremmo darci da fare! Pretendere l’internalizzazione, prendercela, perché nessuno ce la donerà!

Da un’altra parte, ai confini della città, c’è chi inizia in un istituto fatiscente, pieno di crepe, il giardino inutilizzabile da un lustro perché non sono mai arrivati i tecnici del comune a collaudare aule piccolissime con 25 alunni dentro. Insomma devono addomesticare il corpo allo spazio del carcere. Il padiglione 90, immerso nei 150 ettari di parco nell’ex manicomio Santa Maria della Pietà, in confronto, sembrerebbe un resort se non fosse che fu utilizzato per internare migliaia di bambini ritenuti pericolosi per sé e per gli altri, tra questi molti avevano problemi dello sviluppo psichico, epilessia, sordità, cecità, sindrome down, problemi comportamentali. Quando un operatore sociale entra in queste aule-gabbie dovrebbe chiedersi come mai i bambini vengano dimenticati e condannati dalle istituzioni a vivere in tali condizioni. Qui più del 60% dei bambini è di origine straniera. I loro genitori non votano, quindi non contano. Le scuole delle periferie vengono dopo perché le persone senza cittadinanza vengono dopo.

Noi non dovremmo andare a braccetto con quei dirigenti e docenti della scuola che ci chiedono di segregare e parcheggiare i bambini. Non possiamo accettare l’invito a portarli in un’aula di sostegno a non fare niente o a giocare con i videogames al computer. Il mandato, non più tanto implicito, di tenerli buoni e chiusi perché in classe “rompono”, ci dovrebbe risultare alieno. Come dovremmo intervenire quando l’alunno viene messo davanti, al banchetto da solo.           Guai a lamentarsi!

D’altronde anche il bambino chiede insistentemente di essere portato nella sala computer ed ha sviluppato anche un’ottima competenza nel disturbare la classe per raggiungere l’obiettivo. Così, l’operatore potrebbe pensare di aver risolto il problema passando dalla contenzione fisica ad un rapporto che in realtà assoggetta ancora di più il bambino. L’operatore diventa l’adulto “buono” che, chinatosi alla sua altezza, non riesce a dire “no” sprofondando insieme al bambino in quello che Basaglia chiamava l’indolore annientamento nell’istituzione molle. Una collega mi dice “dai loro quello che ti danno” ed ecco avanzare un altro pezzetto di manicomio rilevabile nella scuola del 2018, fasce di contenzione digitali, banchi-celle, bambini senza nome che vengono assimilati agli animali. Benvenuti/e allo scuolacomio anche quest’anno.