RINNOVO CCNL COOP SOCIALI SOTTOSCRIZIONE DEFINITIVA 21 MAGGIO 2019

Apprezziamo lo sforzo, ma dopo quasi otto anni… (si poteva fare e dare di più)

Un’una tantum di 300 euro in due tranche per coprire una vacanza contrattuale, durata più di sette anni; aumenti salariali in tre tranche, l’ultima arriverà a contratto già scaduto; un contributo di assistenza contrattuale per l’agibilità dei delegati e delle delegate dei sindacati firmatari (Cgil – Cisl – Uil) di un contratto nazionale, che non riconosce il valore del lavoro svolto da circa 350.000 tra operatori e operatrici in tutta Italia, e che prevede salari da fame.

L’elemento economico, e non potrebbe essere altrimenti in questo caso, è altamente indicativo della sperequazione tra mansioni ritenute “indispensabili in una democrazia compiuta” e i redditi di quant* ne sono impegnat*. Una visione del mondo ipocrita che determina una metodologia ingiusta; inversamente proporzionale all’importanza della qualifica. Più viene considerata fondamentale, meno è pagata. Fossero stati riconosciuti gli anni di vacanza contrattuale, avremmo avuto una busta paga molto più pesante che non le briciole conquistate dai firmatari del contratto. Una trattativa portata avanti in sintonia con le Centrali Cooperative piuttosto che con lavoratori e lavoratrici. Delle assemblee millantate contemporaneamente ai lavori di discussione e approvazione dei principali articoli del CCNL, non se n’è vista neanche l’ombra. Il meccanismo di rappresentatività sindacale si attiva quasi sempre a totale insaputa di lavoratori/trici e scarica sulle loro spalle la fatica, fisica e mentale, del lavoro sociale alleggerendone ulteriormente le tasche. In questo senso, è un capolavoro della concertazione.

Un regalo fatto alle cooperative e agli enti locali che, nella logica dissennata e contorta del bando, avranno a disposizione forza lavoro precaria e sottopagata, condizioni ideali per accordi al ribasso. Inoltre, forse come in nessun altro contesto produttivo, le condizioni generali del Terzo Settore riflettono la deriva culturale di questo paese. Una divaricazione sempre più evidente tra le enormi difficoltà del pubblico e le ridotte possibilità del privato. Al primo accedono fasce di popolazione impoverite e abbandonate da un welfare che in realtà non è mai esistito, mentre al secondo ha accesso la solita élite per nulla sfiorata da recessione e crisi economica. Il CCNL risponde a questa inossidabile dinamica del capitalismo applicato ad ambiti del lavoro non necessariamente legati alla materialità produttiva. Come per l’appunto quelli dei servizi alla persona, ormai in modo definitivo avviati sulla profittevole strada dell’aziendalizzazione. Anche nel mondo del sociale, anzi più che mai in questo mondo, i diritti sono una questione di classi. Lo sono per chi lavora e per chi ne dovrebbe usufruire.

È quindi tutto irrimediabilmente concluso? È compromessa qualsiasi forma di sindacalizzazione autenticamente rivendicativa? No, in maniera più assoluta, se lavoratori e lavoratrici di un settore così indispensabile per la società, prendono coscienza della propria forza e del proprio ruolo all’interno di una contrapposizione dura quanto inequivocabile, e che più classica non si può: quella tra chi sfrutta e chi è sfruttat*, tra capitale e lavoro.

Leggi qui il nuovo contratto nazionale

CCNL-Articolato-completo-28-marzo-2019

 

Dossier “Sulle nostre spalle – sulla loro pelle”

Mentre postiamo il risultato di un lungo lavoro di ricerca e inchiesta, viene approvato il “decreto sicurezza bis” che possiamo inquadrare come parte dell’obiettivo più ampio di lacerare e disintegrare lo stato sociale residuo (se mai ce ne sia mai stato uno in questo paese) e portare a termine il progetto di una restaurazione in favore delle classi più abbienti di questo paese. Conservatori e progressisti se ne contendono la titolarità. Tutti hanno lavorato, in nome della efficienza del mercato, alla trasformazione profonda del modo di relazionarsi con il datore di lavoro, e l’idea che si ha di sé come lavoratore/trice. Quello del governo Giallo/verde è stato solo l’ultimo atto della guerra preventiva verso la “working class” che ha subito una mutazione antropologica durata un trentennio.

Viviamo e lavoriamo nel paese che santifica Marchionne e disprezza gli indecorosi emarginati sociali. Più che trovare soluzioni concrete, sostenere gli utenti e assicurare loro i diritti essenziali, siamo stati trasformati, da operatori sociali, in “operatori della promessa”, della promessa di un servizio che verrà, del “per ora bisogna accontentarsi di quello che c’è”. Siamo diventati badanti dell’anima. Siamo quelli del contratto a tempo determinato, del “dai così cominci a fare qualcosa”, del “non ti paghiamo ma fa curriculum”. Siamo cresciut* con l’immagine di un futuro meraviglioso fatto di flessibilità e opportunità da cogliere nel nuovo mercato del lavoro, costretti nella trappola della “creatività”, obbligati ad identificarci anima e corpo con il duro lavoro della creazione di una relazione con le persone che assistiamo, con gli utenti di servizi pubblici, stritolati dalla morsa della “spending review”, dell’azienda paese, accettando di essere sottopagati, magari anche dopo qualche mese. Però ci sentiamo tanto educatori, psicologi, sociologi, socio-pedagogisti, professionisti della cura con il conto in banca di un lavavetri e i diritti di un ragazzino nelle miniere di carbone del 1800. Siamo testimoni attivi di un massacro sociale, di un’aggressione fatta di privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica.

Seguendo il modello americano, con la proposta di Regionalismo Differenziato questo governo continua nell’opera di destrutturazione del sistema sanitario pubblico nazionale (nell’ultima manovra sono stati tagliati altri 2 milioni di euro al Fondo Sanitario) per favorirne uno privato, con l’obiettivo di indurre le persone bisognose di cure e assistenza, a rivolgersi alla sanità privata o ai servizi di assistenza privati. La conseguenza più rilevante è l’aumento delle rinunce alla cura e all’assistenza e un peggioramento progressivo delle condizioni di lavoro degli operatori e delle operatrici. Ma noi siamo già dipendenti del privato. Siamo dipendenti di quel privato sociale che ha praticamente inventato gran parte dei servizi alla persona, ma che da tempo è con-responsabile della loro evaporazione. Siamo dipendenti di aziende in competizione per accaparrarsi le briciole dei bandi al massimo ribasso facendoci lavorare in condizioni di massimo ricatto e agli utenti di ricevere un servizio di minima qualità.

Le coop sono le aziende perfette per mettere a disposizione forza lavoro inerme, non conflittuale. Sono le aziende che fondono perfettamente tempo di vita e tempo-lavoro. Perché il nostro non viene considerato un vero e proprio lavoro, ma una missione nei confronti della società. Il concetto di “diritto del lavoro” non è concepito dagli stessi lavoratori, figuriamoci dai nostri datori di lavoro. Nelle Cooperative essere considerati pericolosi se si aderisce a movimenti sindacali o politici, è oramai la norma.

In questo lavoro di distruzione dell’identità di classe, le coop sono consapevoli di poter contare sulla sponda di CGIL, CISL, UIL che tirano, da diversi anni, la volata alle grandi compagnie assicurative (Unipol in testa), l’adesione obbligatoria ai fondi di sanità integrativa e il “welfare aziendale” che coincide con i desiderata di Confindustria. Dobbiamo dimostrare di saperci guadagnare il welfare residuo, o meglio ancora avere un’occupazione che garantisca loro il welfare aziendale. A Maggio 2019 è stato sottoscritto l’osceno rinnovo del CCNL delle coop sociali.(https://socialworkers.noblogs.org/post/category/documenti-e-leggi/ )

Il blog Social workers nasce dalla necessità di trovare strade percorribili per irrompere nella narrazione filo aziendale dei nostri colleghi, assolutamente de-privati della solidarietà reciproca e dispersi nelle dinamiche di concorrenza. Tra il 2018 e il 2019 abbiamo notato che qualcosa si è mosso. Quindi abbiamo cominciato a raccogliere materiale, a partecipare ad incontri nazionali e abbiamo continuato a fare il lavoro di narrazione delle tante sfaccettature che contraddistinguono il nostro lavoro. Nasce così questo dossier.

Scarica qui la rivista dei Social Workers in PDF

SW magazine

Presentazione dossier “Sulle nostre spalle – sulla loro pelle”

Giovedì 27 giugno 2019

Il blog Social Workers presenta il dossier

“Sulle nostre spalle – sulla loro pelle”
Il Social magazine che racconta il non detto del lavoro sociale.

Testimonianze ed esperienze di lotta dalla galassia che compone ciò che rimane del welfare. In vista dell’incontro nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del sociale
#unaltrocontrattoèpossibile costruiamolo insieme!
https://www.facebook.com/events/2405279019715835/?active_tab=about

Aperitivo dalle 19:30

Alle 20:00 la redazione del blog Social Workers incontra:
Comitato Romano AEC
CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario
Lavoratori/trici CUP/reCUP
Operatrice assistenza domiciliare indiretta
Operatrice dell’accoglienza
Operatore assistenza domiciliare in provincia

A seguire:
dj set hip hop/electro by Psycho Juls

CASALE GARIBALDI – common at work
Via Romolo Balzani 87 (Villa De Sanctis)
tel/fax 06 24 403 713 / casale.garibaldi23@gmail.com

bus 558, 412, 105 – fermata Balzani trenino Laziali-Centocelle

 

https://www.facebook.com/OperatoriSocialiAttivi/videos/200449777564843/

IL FLAGELLO DELLA CONCERTAZIONE E LO SCIOPERO

Il 19 Dicembre si consuma il solito rituale, la grande “messa” del mercanteggio del lavoro, dei suoi diritti e dei servizi alla persona. Gran sacerdote la Centrale Cooperative, adepti la CGIL. Sull’altare il CCNL delle cooperative e i residui di uno stato sociale che ancora batte la coda prima di essere relegato nel museo della civiltà.

Fuori dal tavolo, la plebe, l’accozzaglia di schiavi che, oltre ad essere esclusi, si fustigano con gli smartphone sbavando in trepidante attesa. Urlano strepitano. Ognun per se. Qualche gruppo si è fatto la maglietta uguale, come quei fan degli idoli trap. “Noi prima di tutto!” gridano. Sgomitano, si picchiano, in trepidante attesa che si apra la botola e gli vengano dati in pasto gli avanzi dei sacri vassoi.

Al tavolo concertativo siederanno i sindacati confederali prodighi a garantirsi la continuità nell’incetta di tessere e l’esclusività della rappresentanza sindacale, e le cooperative pronte a tutto pur di ottenere la capacità massima di flessibilità nella gestione della forza lavoro.

Le cooperative ri-affermeranno tutto il loro impegno nella difesa dei posti di lavoro. Esprimeranno la necessità di modificare un sistema degli appalti incapace di far rispettare “la sana concorrenza” e ribadiranno cheil mercato può essere “regolato in modo sensato”, premiando la qualità, i diritti dei lavoratori e le imprese che investono. Metteranno su quel tavolo le normative vigenti che impediscono una distinzione tra quelle che sono le imprese sane e quelle che invece si pongono sul mercato con fini speculativi. Denunceranno il sottobosco del sistema fatto di intrecci tra corruzione e malavita, di aziende mafiose che determinano il meccanismo del “massimo ribasso”. Tutto vero. Ma questo è il mercato cari “caporali”! Sono anni che le amministrazioni attivano tavoli di concertazione con CGIL-CISL-UIL per una progettazione e un lavoro comune con l’intenzione di contrastare l’aumento della disoccupazione, la crescita delle disuguaglianze e delle povertà e a favore dei bisogni delle fasce sociali più deboli (anziani, disabili, minori). Il risultato di questo lungo impegno è stato proprio il sistema malato dei bandi di gara per erogare servizi “inalienabili per uno stato civile”. La normale conseguenza è stata il dispiegarsi di una concorrenza spietata, una guerra tra cooperative. Un meccanismo inevitabile che ha relegato le necessità del territorio e dell’utenza in una dimensione disumana “non curante”. Un servizio sociale basato sulle gare d’appalto (oltre ad essere un abominio) non può che ottenere un meccanismo di “massimo ribasso”. Le gare tolgono qualità ai servizi e diritti ai lavoratori, comprimendo il costo del lavoro e impoverendo le comunità. Vince chi risparmia di più sul costo di erogazione del servizio, sul costo del lavoro e dei progetti di assistenza. In ballo c’è la continuità in vita delle cooperative.

La CGIL, dal canto suo, concerterà aumenti salariali adeguati dimenticando che l’ultimo accordo del 2011 prevedeva un aumento della paga oraria (risibile) in tre tranches, delle quali solo la prima obbligatoria. Chiederà di confermare il proprio ruolo come unica mediazione sindacale nelle controversie con i lavoratori (vedi vertenze). Chiederà alle cooperative vincenti di una gara, più garanzie sul trattamento di chi lavorava con la cooperativa uscente. Chiederà di ricorrere il meno possibile a forme contrattuali (del tutto legali) come il part-time involontario. Chiederà il corretto inquadramento del personale e un trattamento salariale diversificato. La certosina “professionalizzazione” e spezzettamento del personale assunto dalle cooperative (OEPA, OSS, Educatore etc..) lascia intravedere un nuovo ruolo corporativo.

Il sindacalismo moderato della concertazione, del resto, accetta da più di un trentennio tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto chiedendo in cambio il proprio riconoscimento ed istituzionalizzazione. Partecipando da anni ai tavoli dei govern, si sono resi co-responsabili del taglio dello stato sociale facendo precipitare il lavoro nel più spietato meccanismo di ricatto sulle sue condizioni. Da Marchionne in poi, Il potere economico può fare a meno dello scambio della concertazione. Quelle concessioni sul ruolo dei confederali che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della “responsabilità” sindacale, son state spazzate via. Quindi ora lo si mendica e si chiede di formalizzarlo anche a costo di una frammentazione dei lavoratori/trici.

Sarebbero necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni. Sono diverse le assenze nel dibattito sull’organizzazione di una resistenza sindacale nel settore non profit:

  • La critica feroce proprio all’intero sistema di assegnazione dei servizi attraverso gare di appalto, attraverso il regime di mercato, una realtà con la quale in molti oggi continuano a non voler fare i conti: una reale riflessione complessiva sul sistema dei servizi alla persona. Fare una battaglia di piccolo cabotaggio come quella del rinnovo del CCNL, è una mera speculazione, utile solo all’affermazione del proprio ruolo nelle relazioni sindacali con i dispensatori di forza lavoro, le agenzie del lavoro a basso costo ed ad alta efficienza, le cooperative. Costruire una battaglia comune per fare escludere i servizi sociali dal “principio del pareggio di bilancio”.
  • Una nuova alfabetizzazione nella difesa dei diritti immaginando nuovi strumenti capaci di far riemergere il “coraggio” di opporsi ai ricatti del mercato. I gruppi dirigenti dei sindacati confederali, subalterni e disponibili verso le controparti, hanno interrotto la trasmissione alle nuove generazioni dei diritti e degli strumenti per difenderli. Ma la loro più grande responsabilità non è quella di aver partecipato alla perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di lavoro e lo sfruttamento brutale. La responsabilità maggiore è soprattutto l’aver diffuso la paura e la rassegnazione, il rancore e la rottura di solidarietà elementari, l’idea stessa di poter fare sindacato, alla subordinazione all’impresa.
  • Concentrare la riflessione sulle trasformazioni del lavoro non profit e il processo professionalizzazione in atto. Sono anni che scorrono fiumi di denaro sul meccanismo degli aggiornamenti professionali e sulla frammentazione dell’intervento. Adest, OSS, Educatori, Psicologi, Assistenti alla comunicazione, si intrecciano nello stesso nodo produttivo, vengono divisi in nuovi aree di competenza con lo stesso livello di inquadramento salariale. Sarebbe un errore enorme seguire la traccia di comando del mercato, utile solo a frammentare la potenziale rivendicazione, non solo, salariale e contrattuale, ma di un intero sistema di welfare distrutto pezzetto per pezzetto.

PER CHI SUONA LA CAMPANELLA?

Ogni anno in settembre, quando comincia l’anno scolastico, le donne nelle cartolerie dei sobborghi comprano i libri di scuola e i quaderni per i loro bambini.   Disperate cavano i loro ultimi soldi dai borsellini logori, lamentando che il sapere sia così caro. E dire che non hanno la minima idea di quanto sia cattivo il sapere destinato ai loro bambini

(B. Brecht)

Oltre i cancelli, tra le nubi dei gas di scarico e la calca dei genitori, i bambini sono pronti a scattare. Quest’anno cambio scuola, non conosco né la nuova responsabile che comunica via whatsapp, né con chi mi tocca lavorare. Mi piace dire “con” anche se molti colleghi ormai accettano di “stare su” qualcuno, senza mettere  minimamente in discussione la condizione asimmetrica di potere che intercorre tra l’operatore ed il bambino. Mi vengono fornite indicazioni veloci, cognome e classe, prima che la campanella decreti l’apertura delle porte. In un giorno vedo quattro bambini ed il giorno successivo sto “su altrettanti”. Anche quest’anno si parte a singhiozzo, anzi con un servizio strozzato dai tagli. Come se non bastasse, la referente della scuola mi dice che noi dovremmo tappare i buchi, visto che le insegnanti di sostegno non sono sufficienti. Insomma ci tocca fare il baby-sitteraggio. Per ora è sufficiente la sola presenza, ma voci di corridoio mi dicono che ormai è la normalità in quest’istituto. Non mi sento molto diverso da quel bambino che la mia collega sta contenendo su un gradino delle scale, ma io non posso permettermi di sbroccare, devo restare freddo con il fuoco dentro.

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Siamo operatrici e operatori del sociale. Siamo Assistenti domiciliari, AEC, Assistenti specialistici, Operatori di casa famiglia/centro diurno/ comunità, Mediatori culturali. Siamo oltre 680 mila, lavoriamo 365 giorni l’anno in una giungla di appalti e finanziamenti pubblici contorti. Siamo i Social Workers.
Nonostante in Italia ci siano oltre quattro milioni di persone con disabilità (6,7% della popolazione), che nel 2020 arriveranno a 4,8 milioni (7,9%) e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040 (10,7%). Nonostante che a questi numeri vanno aggiunte le persone che non rientrano all’interno delle classificazioni della disabilità ma delle fragilità sociali (minori a rischio, migranti etc…). Nonostante questi numeri impressionanti, viviamo sulla nostra pelle e osserviamo come precipiti inesorabilmente sulla pelle delle persone che assistiamo, la contrazione progressiva delle risorse dedicate allo sviluppo degli interventi nel sociale. Il nostro lavoro è relegato alla marginalità, costringendoci ad una precarietà lavorativa ed esistenziale che, da un lato nuoce gravemente allo sviluppo dei progetti, dall’altro dequalifica il lavoro che facciamo rendendolo spesso inefficace e frustrante. La precarietà è già selvaggia, i contratti quasi non esistono e, dove esistono, nessuno sembra considerare il nostro un lavoro vero e proprio.
Se da una parte ci viene riconosciuta una estrema importanza per il supporto che offriamo nella gestione delle fragilità sociali, dall’altra siamo sottoposti brutalmente alle leggi di un mercato del lavoro che cancella ogni diritto e la nostra dignità.

<strong>COSA VOGLIAMO</strong>

Vogliamo rompere il cerchio dell’invisibilità.
Vogliamo dare dignità a chi quotidianamente, ostinatamente, lavora per darne a chi è escluso dalla spietatezza del mercato, rinchiusi/e nelle artificiali categorie della “fascia del disagio”. Vogliamo amplificare la voce di chi la sente sempre più soffocata dalla precarietà e dallo sfruttamento. Vogliamo i Servizi Sociali al servizio della società e non del lucro per pochi. Vogliamo un salario degno e garantito.
Vogliamo l’internalizzazione dei Servizi Sociali.
Vogliamo demolire la logica del bando, utile a chi cerca solo gli utili.
Vogliamo dire a chiare a lettere che il lavoro è lavoro e il volontariato è volontariato. Vogliamo smascherare chi spaccia l’uno per l’altro e riempie le proprie casse. Vogliamo che la povertà dei molti non sia più fonte di ricchezza per pochi e che la disperazione non sia il core business delle imprese sociali. Vogliamo che l’unica impresa sociale sia quella di sconfiggere la povertà.
Vogliamo fare rete dove regna sovrana il divide et impera.
Vogliamo sconfiggere il virus della sconfitta.
Vogliamo combattere il burn out e dare fuoco alle passioni.
Vogliamo documentare, testimoniare, raccogliere le esperienze di tanti/e lavoratori e lavoratrici del sociale che non si rassegnano all’ineluttabilità del silenzio.
Vogliamo ricomporre dove il mercato vuole distruggere.
Vogliamo con la consapevolezza che a volte vorremmo.
Vogliamo con la convinzione che a volte dovremmo.
Vogliamo che il Terzo Settore non sia la punta avanzata del terziario.
Vogliamo ribadire che l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici è un’arma imprescindibile contro chi alimenta la frammentazione. E la frammentazione è un’arma micidiale in mano a enti locali delocalizzati, amministrazioni pubbliche privatizzate, cooperative sociali geneticamente modificate e sindacati compiacenti.
Vogliamo impedire che il refrain dei tagli al sociale sia recitato con la solita impunita e ormai consuetudinaria indecenza della necessità economica.
Vogliamo che la coscienza abbia il sopravvento sull’acquiescenza.
Vogliamo affermare con determinazione e senza esitazione, che siamo antifascist* antirazzist* antisessist* e anticapitalist*.
Siamo realisti e quindi vogliamo l’impossibile.

<strong>IL BLOG</strong>

L’estrema precarietà alla quale ci sottopongono, ci porta spesso ad ignorare i nostri diritti e a riconoscere le cattive condizioni di lavoro in cui operiamo. Tra di noi si è diffuso un sentimento di rassegnazione all’assenza di qualsiasi forma di diiritto. Quando poi nasce un esperimento di rivendicazione rimane isolato. Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di aprire uno spazio che possa essere attraversato da una narrazione condivisa delle nostre biografie messe al lavoro e fornire strumenti utili alla costruzione di un linguaggio comune. Il blog deve essere uno strumento di valorizzazione di tutte le realtà già esistenti e di coinvolgimento attivo delle lavoratrici e dei lavoratori del settore.
Il nostro auspicio è che in questo blog tutti/e possano esprimersi, tutti/e abbiano la possibilità di raccontarsi, uscire allo scoperto e denunciare le proprie condizioni di lavoro e di vita. Uno spazio aperto capace di attivare nuove soggettività consapevoli del contesto frammentato in cui operano e in grado di entrare in relazione con altri/e. Un percorso di continuo aggiornamento dove le tematiche del salario, della precarietà, del bisogno di riconoscimento personale, salariale e contrattuale, del disagio, della frustrazione, della necessità di sentirsi rappresentati, smettano di essere mero argomento di un lamento sterile e attivino la resistenza allo sfruttamento che grava su chi lavora nella “filiera” dei servizi sociali.

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Intervista rilasciata alla webradio <strong>Radio 32, </strong>che si definisce agorà della salute, ossia una spazio fisico e virtuale dove poter parlare e confrontarsi sulle più importanti questioni sanitarie e sociali.

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https://www.spreaker.com/user/radio32radioweb/la-liberta-e-terapeutica-00

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Chi è il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza?

RLS

Definizione di RLS
(Art 2, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81)
“persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”
RLS – Diritti e Responsabilità
I diritti:
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha, sostanzialmente, quattro diritti
fondamentali:
– diritto all’informazione;
– diritto alla formazione;
– diritto alla partecipazione;
– diritto al controllo.
La responsabilità:
Il DLgs 81/08 non ha previsto alcuna specifica sanzione a carico dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il motivo risiede nel fatto che gli RLS, in considerazione dei compiti consultivi loro assegnati, non hanno alcun potere decisionale in merito alle scelte in materia di prevenzione infortuni effettuate dal datore di lavoro. Quanto sopra non significa però che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza vadano esenti da responsabilità, indipendentemente dalle modalità con cui svolgono il proprio compito; infatti, nel caso in cui l’RLS abbia contribuito all’adozione di una misura protettiva rivelatasi inadeguata, insufficiente o addirittura contraria alla legge, e l’abbia pretesa dal datore di lavoro, potrà essere chiamato a rispondere dell’infortunio che ne sia derivato.

Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Art. 50 del D.Lgs. 81/2008).
1. Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della
prevenzione nella azienda o unità produttiva;
c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di
prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla
evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;
e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei
rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed ai
preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti
di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;
f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
g) riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista
dall’articolo 37;
h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di
prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è, di norma, sentito;
l) partecipa alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua
attività;
o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di
prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i
mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute
durante il lavoro.
2. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera r), contenuti in applicazioni informatiche. Non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali.
3. Le modalità per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 sono stabilite in sede di contrattazione collettiva nazionale. 4. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a.
5. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dei lavoratori rispettivamente del datore di lavoro committente e delle imprese appaltatrici, su loro richiesta e per l’espletamento della loro funzione, ricevono copia del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, comma 3.
6. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è tenuto al rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi e nel documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, comma 3, nonché al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.
7. L’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è
incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e
protezione.

Quanti RLS?
(art. 47, comma 7, D.Lgs. 81/2008)

Il numero minimo dei RLS è:
a) 1 per le aziende o unità produttive sino a 200 lavoratori;
b) 3 per le aziende o unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;
c) 6 per tutte le aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori. Aziende per le
quali il numero dei RLS aumenta nella misura individuata dagli accordi
interconfederali o dalla contrattazione collettiva.
Quale formazione?
(art. 37 D.Lgs.81/2008)
Il RLS ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza così come precisato dall’art. 37, comma 10 del D.Lgs. 81/2008. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del RLS sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale (art. 37, comma 11 D.Lgs. 81/2008). Tale formazione deve permettere al RLS di poter raggiungere adeguate conoscenze circa i rischi lavorativi esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi, nonché principi giuridici comunitari e nazionali, legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, principali soggetti coinvolti e relativi obblighi e aspetti normativi della rappresentanza dei lavoratori e tecnica della comunicazione.La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di
apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori (art. 37, comma 11 D.Lgs. 81/2008).
La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi (art. 37, comma 6 del D.Lgs. 81/2008). La formazione deve avvenire in collaborazione con gli organismi paritetici (dove presenti), durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori (art. 37, comma 12 D.Lgs. 81/2008).

 

TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

Tra Maggio e Giugno del 2018, abbiamo costruito un ciclo di incontri con operatori e operatrici dei servizi sociali di Roma. Lo abbiamo chiamato “Tour 180” perché il 2018 coincide con il quarantennale della legge 180, o Legge Basaglia, la legge che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Non è stata una mera scelta opportunistica per dare visibilità al nostro progetto, ma una vera e propria rivendicazione di una legge mai completamente applicata se non disattesa. La 180 fu una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da erano recluse nei manicomi, restituendole alla società. Ma i detrattori di questa legge dimenticano (anelando il ritorno alla legge del 1908), o vogliono dimenticare, che i manicomi erano strutture adibite alla reclusione, non solo dei cosiddetti “malati psichiatrici” tout court, ma di tutte le persone fragili con diverse tipologie di disabilità e tutte le alterità che il senso comune, per limiti/confini morali e inadeguate capacità scientifiche, non riusciva a includere nel alveo della “normalità”. Basaglia riuscì ad imporre un nuovo paradigma: cancellare l’esperienza dei manicomi, trasformare la società in “società terapeutica”, una società che cura, che si cura, una società che si prende cura dei suoi elementi “deboli”, dei suoi corpi fragili. La 180 fu precorritrice della legge che costituì, pochi mesi dopo, il sistema sanitario nazionale, la 883. Si gettarono così le basi per l’istituzione dei servizi pubblici territoriali con funzioni preventive, curative, riabilitative e assistenziali. Ma le strutture territoriali sono diventate, nel tempo, terreno per la sperimentazione di un welfare a basso costo. Dopo aver sancito limiti invalicabili alla discrezionalità per i ricoveri coatti e la necessità di costituire percorsi di formazione per il personale, nulla è stato più fatto. Anzi si. E’ stato determinato un graduale dis-investimento nelle strutture territoriali e abbandonato l’ambito dell’assistenza alle azioni virtuose del privato sociale e alle famiglie, tanto da trascinare la professione dell’operatore sociale nell’ambito del volontariato dove è quasi “strano” essere pagati, ricevere un reddito.

Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni il cui unico scopo è spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale. Ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe e con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori. Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza.

Questo è stato il motivo che ci ha spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

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TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

 

Tour 180 ci ha visti impegnati e impegnate in cinque tappe che si sono svolte tra Maggio e Giugno del 2018. Abbiamo dato luogo a cinque momenti di discussione sulla Legge 180, o Legge Basaglia, che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da anni erano recluse nei manicomi. Abbiamo scelto questa strada perché il 2018 segna l’anniversario dei 40 anni da quegli eventi. Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni per le quali l’unico scopo è ormai da troppo tempo, spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale.

Tour 180 è stato un ciclo di incontri in cui ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe. Ma ci siamo confrontati anche con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori.

Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza. Questo era stato il motivo che ci aveva spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

12 Maggio – PRESENTAZIONE DEL BLOG

Nel primo incontro non erano presenti tecnici del settore, ma solo colleghi e colleghe. Dopo qualche intervento, si palpava la frustrazione di tanti e tante che sentono la propria professionalità stravolta da fantomatiche esigenze di servizio e dalla scure dell’austerity. La percezione diffusa era quella di un de-mansionamento progressivo che riduce la nostra figura professionale alla stregua di “badante” se non di “secondino sociale”, di controllore sociale, e di come sia “oscura” la strada che ci possa portare fuori, insieme, dalla condizione di sfruttamento.

 

MATTI DA SLEGARE

Alberta Basaglia, figlia dello psichiatra Franco e ospite della rassegna Nuvole, ripercorre a 40 anni di distanza la rivoluzione culturale apportata dal padre a 40 anni: “Mi ha insegnato a voler sempre cercare il senso delle cose, accettandone le contraddizioni”

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