Chi è il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza?

RLS

Definizione di RLS
(Art 2, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81)
“persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”
RLS – Diritti e Responsabilità
I diritti:
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha, sostanzialmente, quattro diritti
fondamentali:
– diritto all’informazione;
– diritto alla formazione;
– diritto alla partecipazione;
– diritto al controllo.
La responsabilità:
Il DLgs 81/08 non ha previsto alcuna specifica sanzione a carico dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il motivo risiede nel fatto che gli RLS, in considerazione dei compiti consultivi loro assegnati, non hanno alcun potere decisionale in merito alle scelte in materia di prevenzione infortuni effettuate dal datore di lavoro. Quanto sopra non significa però che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza vadano esenti da responsabilità, indipendentemente dalle modalità con cui svolgono il proprio compito; infatti, nel caso in cui l’RLS abbia contribuito all’adozione di una misura protettiva rivelatasi inadeguata, insufficiente o addirittura contraria alla legge, e l’abbia pretesa dal datore di lavoro, potrà essere chiamato a rispondere dell’infortunio che ne sia derivato.

Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Art. 50 del D.Lgs. 81/2008).
1. Fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della
prevenzione nella azienda o unità produttiva;
c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di
prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla
evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;
e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei
rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed ai
preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti
di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;
f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
g) riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista
dall’articolo 37;
h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di
prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è, di norma, sentito;
l) partecipa alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua
attività;
o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di
prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i
mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute
durante il lavoro.
2. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera r), contenuti in applicazioni informatiche. Non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali.
3. Le modalità per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 sono stabilite in sede di contrattazione collettiva nazionale. 4. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a.
5. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dei lavoratori rispettivamente del datore di lavoro committente e delle imprese appaltatrici, su loro richiesta e per l’espletamento della loro funzione, ricevono copia del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, comma 3.
6. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è tenuto al rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi e nel documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, comma 3, nonché al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.
7. L’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è
incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e
protezione.

Quanti RLS?
(art. 47, comma 7, D.Lgs. 81/2008)

Il numero minimo dei RLS è:
a) 1 per le aziende o unità produttive sino a 200 lavoratori;
b) 3 per le aziende o unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;
c) 6 per tutte le aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori. Aziende per le
quali il numero dei RLS aumenta nella misura individuata dagli accordi
interconfederali o dalla contrattazione collettiva.
Quale formazione?
(art. 37 D.Lgs.81/2008)
Il RLS ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza così come precisato dall’art. 37, comma 10 del D.Lgs. 81/2008. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del RLS sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale (art. 37, comma 11 D.Lgs. 81/2008). Tale formazione deve permettere al RLS di poter raggiungere adeguate conoscenze circa i rischi lavorativi esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi, nonché principi giuridici comunitari e nazionali, legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, principali soggetti coinvolti e relativi obblighi e aspetti normativi della rappresentanza dei lavoratori e tecnica della comunicazione.La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di
apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori (art. 37, comma 11 D.Lgs. 81/2008).
La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi (art. 37, comma 6 del D.Lgs. 81/2008). La formazione deve avvenire in collaborazione con gli organismi paritetici (dove presenti), durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori (art. 37, comma 12 D.Lgs. 81/2008).

 

TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

Tra Maggio e Giugno del 2018, abbiamo costruito un ciclo di incontri con operatori e operatrici dei servizi sociali di Roma. Lo abbiamo chiamato “Tour 180” perché il 2018 coincide con il quarantennale della legge 180, o Legge Basaglia, la legge che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Non è stata una mera scelta opportunistica per dare visibilità al nostro progetto, ma una vera e propria rivendicazione di una legge mai completamente applicata se non disattesa. La 180 fu una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da erano recluse nei manicomi, restituendole alla società. Ma i detrattori di questa legge dimenticano (anelando il ritorno alla legge del 1908), o vogliono dimenticare, che i manicomi erano strutture adibite alla reclusione, non solo dei cosiddetti “malati psichiatrici” tout court, ma di tutte le persone fragili con diverse tipologie di disabilità e tutte le alterità che il senso comune, per limiti/confini morali e inadeguate capacità scientifiche, non riusciva a includere nel alveo della “normalità”. Basaglia riuscì ad imporre un nuovo paradigma: cancellare l’esperienza dei manicomi, trasformare la società in “società terapeutica”, una società che cura, che si cura, una società che si prende cura dei suoi elementi “deboli”, dei suoi corpi fragili. La 180 fu precorritrice della legge che costituì, pochi mesi dopo, il sistema sanitario nazionale, la 883. Si gettarono così le basi per l’istituzione dei servizi pubblici territoriali con funzioni preventive, curative, riabilitative e assistenziali. Ma le strutture territoriali sono diventate, nel tempo, terreno per la sperimentazione di un welfare a basso costo. Dopo aver sancito limiti invalicabili alla discrezionalità per i ricoveri coatti e la necessità di costituire percorsi di formazione per il personale, nulla è stato più fatto. Anzi si. E’ stato determinato un graduale dis-investimento nelle strutture territoriali e abbandonato l’ambito dell’assistenza alle azioni virtuose del privato sociale e alle famiglie, tanto da trascinare la professione dell’operatore sociale nell’ambito del volontariato dove è quasi “strano” essere pagati, ricevere un reddito.

Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni il cui unico scopo è spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale. Ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe e con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori. Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza.

Questo è stato il motivo che ci ha spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

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TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

 

Tour 180 ci ha visti impegnati e impegnate in cinque tappe che si sono svolte tra Maggio e Giugno del 2018. Abbiamo dato luogo a cinque momenti di discussione sulla Legge 180, o Legge Basaglia, che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da anni erano recluse nei manicomi. Abbiamo scelto questa strada perché il 2018 segna l’anniversario dei 40 anni da quegli eventi. Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni per le quali l’unico scopo è ormai da troppo tempo, spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale.

Tour 180 è stato un ciclo di incontri in cui ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe. Ma ci siamo confrontati anche con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori.

Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza. Questo era stato il motivo che ci aveva spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

12 Maggio – PRESENTAZIONE DEL BLOG

Nel primo incontro non erano presenti tecnici del settore, ma solo colleghi e colleghe. Dopo qualche intervento, si palpava la frustrazione di tanti e tante che sentono la propria professionalità stravolta da fantomatiche esigenze di servizio e dalla scure dell’austerity. La percezione diffusa era quella di un de-mansionamento progressivo che riduce la nostra figura professionale alla stregua di “badante” se non di “secondino sociale”, di controllore sociale, e di come sia “oscura” la strada che ci possa portare fuori, insieme, dalla condizione di sfruttamento.

 

MATTI DA SLEGARE

Alberta Basaglia, figlia dello psichiatra Franco e ospite della rassegna Nuvole, ripercorre a 40 anni di distanza la rivoluzione culturale apportata dal padre a 40 anni: “Mi ha insegnato a voler sempre cercare il senso delle cose, accettandone le contraddizioni”

https://www.lavocedelpopolo.it/garda-e-valsabbia/matti-da-slegare