IL FLAGELLO DELLA CONCERTAZIONE E LO SCIOPERO

Il 19 Dicembre si consuma il solito rituale, la grande “messa” del mercanteggio del lavoro, dei suoi diritti e dei servizi alla persona. Gran sacerdote la Centrale Cooperative, adepti la CGIL. Sull’altare il CCNL delle cooperative e i residui di uno stato sociale che ancora batte la coda prima di essere relegato nel museo della civiltà.

Fuori dal tavolo, la plebe, l’accozzaglia di schiavi che, oltre ad essere esclusi, si fustigano con gli smartphone sbavando in trepidante attesa. Urlano strepitano. Ognun per se. Qualche gruppo si è fatto la maglietta uguale, come quei fan degli idoli trap. “Noi prima di tutto!” gridano. Sgomitano, si picchiano, in trepidante attesa che si apra la botola e gli vengano dati in pasto gli avanzi dei sacri vassoi.

Al tavolo concertativo siederanno i sindacati confederali prodighi a garantirsi la continuità nell’incetta di tessere e l’esclusività della rappresentanza sindacale, e le cooperative pronte a tutto pur di ottenere la capacità massima di flessibilità nella gestione della forza lavoro.

Le cooperative ri-affermeranno tutto il loro impegno nella difesa dei posti di lavoro. Esprimeranno la necessità di modificare un sistema degli appalti incapace di far rispettare “la sana concorrenza” e ribadiranno cheil mercato può essere “regolato in modo sensato”, premiando la qualità, i diritti dei lavoratori e le imprese che investono. Metteranno su quel tavolo le normative vigenti che impediscono una distinzione tra quelle che sono le imprese sane e quelle che invece si pongono sul mercato con fini speculativi. Denunceranno il sottobosco del sistema fatto di intrecci tra corruzione e malavita, di aziende mafiose che determinano il meccanismo del “massimo ribasso”. Tutto vero. Ma questo è il mercato cari “caporali”! Sono anni che le amministrazioni attivano tavoli di concertazione con CGIL-CISL-UIL per una progettazione e un lavoro comune con l’intenzione di contrastare l’aumento della disoccupazione, la crescita delle disuguaglianze e delle povertà e a favore dei bisogni delle fasce sociali più deboli (anziani, disabili, minori). Il risultato di questo lungo impegno è stato proprio il sistema malato dei bandi di gara per erogare servizi “inalienabili per uno stato civile”. La normale conseguenza è stata il dispiegarsi di una concorrenza spietata, una guerra tra cooperative. Un meccanismo inevitabile che ha relegato le necessità del territorio e dell’utenza in una dimensione disumana “non curante”. Un servizio sociale basato sulle gare d’appalto (oltre ad essere un abominio) non può che ottenere un meccanismo di “massimo ribasso”. Le gare tolgono qualità ai servizi e diritti ai lavoratori, comprimendo il costo del lavoro e impoverendo le comunità. Vince chi risparmia di più sul costo di erogazione del servizio, sul costo del lavoro e dei progetti di assistenza. In ballo c’è la continuità in vita delle cooperative.

La CGIL, dal canto suo, concerterà aumenti salariali adeguati dimenticando che l’ultimo accordo del 2011 prevedeva un aumento della paga oraria (risibile) in tre tranches, delle quali solo la prima obbligatoria. Chiederà di confermare il proprio ruolo come unica mediazione sindacale nelle controversie con i lavoratori (vedi vertenze). Chiederà alle cooperative vincenti di una gara, più garanzie sul trattamento di chi lavorava con la cooperativa uscente. Chiederà di ricorrere il meno possibile a forme contrattuali (del tutto legali) come il part-time involontario. Chiederà il corretto inquadramento del personale e un trattamento salariale diversificato. La certosina “professionalizzazione” e spezzettamento del personale assunto dalle cooperative (OEPA, OSS, Educatore etc..) lascia intravedere un nuovo ruolo corporativo.

Il sindacalismo moderato della concertazione, del resto, accetta da più di un trentennio tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto chiedendo in cambio il proprio riconoscimento ed istituzionalizzazione. Partecipando da anni ai tavoli dei govern, si sono resi co-responsabili del taglio dello stato sociale facendo precipitare il lavoro nel più spietato meccanismo di ricatto sulle sue condizioni. Da Marchionne in poi, Il potere economico può fare a meno dello scambio della concertazione. Quelle concessioni sul ruolo dei confederali che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della “responsabilità” sindacale, son state spazzate via. Quindi ora lo si mendica e si chiede di formalizzarlo anche a costo di una frammentazione dei lavoratori/trici.

Sarebbero necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni. Sono diverse le assenze nel dibattito sull’organizzazione di una resistenza sindacale nel settore non profit:

  • La critica feroce proprio all’intero sistema di assegnazione dei servizi attraverso gare di appalto, attraverso il regime di mercato, una realtà con la quale in molti oggi continuano a non voler fare i conti: una reale riflessione complessiva sul sistema dei servizi alla persona. Fare una battaglia di piccolo cabotaggio come quella del rinnovo del CCNL, è una mera speculazione, utile solo all’affermazione del proprio ruolo nelle relazioni sindacali con i dispensatori di forza lavoro, le agenzie del lavoro a basso costo ed ad alta efficienza, le cooperative. Costruire una battaglia comune per fare escludere i servizi sociali dal “principio del pareggio di bilancio”.
  • Una nuova alfabetizzazione nella difesa dei diritti immaginando nuovi strumenti capaci di far riemergere il “coraggio” di opporsi ai ricatti del mercato. I gruppi dirigenti dei sindacati confederali, subalterni e disponibili verso le controparti, hanno interrotto la trasmissione alle nuove generazioni dei diritti e degli strumenti per difenderli. Ma la loro più grande responsabilità non è quella di aver partecipato alla perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di lavoro e lo sfruttamento brutale. La responsabilità maggiore è soprattutto l’aver diffuso la paura e la rassegnazione, il rancore e la rottura di solidarietà elementari, l’idea stessa di poter fare sindacato, alla subordinazione all’impresa.
  • Concentrare la riflessione sulle trasformazioni del lavoro non profit e il processo professionalizzazione in atto. Sono anni che scorrono fiumi di denaro sul meccanismo degli aggiornamenti professionali e sulla frammentazione dell’intervento. Adest, OSS, Educatori, Psicologi, Assistenti alla comunicazione, si intrecciano nello stesso nodo produttivo, vengono divisi in nuovi aree di competenza con lo stesso livello di inquadramento salariale. Sarebbe un errore enorme seguire la traccia di comando del mercato, utile solo a frammentare la potenziale rivendicazione, non solo, salariale e contrattuale, ma di un intero sistema di welfare distrutto pezzetto per pezzetto.

TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

Tra Maggio e Giugno del 2018, abbiamo costruito un ciclo di incontri con operatori e operatrici dei servizi sociali di Roma. Lo abbiamo chiamato “Tour 180” perché il 2018 coincide con il quarantennale della legge 180, o Legge Basaglia, la legge che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Non è stata una mera scelta opportunistica per dare visibilità al nostro progetto, ma una vera e propria rivendicazione di una legge mai completamente applicata se non disattesa. La 180 fu una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da erano recluse nei manicomi, restituendole alla società. Ma i detrattori di questa legge dimenticano (anelando il ritorno alla legge del 1908), o vogliono dimenticare, che i manicomi erano strutture adibite alla reclusione, non solo dei cosiddetti “malati psichiatrici” tout court, ma di tutte le persone fragili con diverse tipologie di disabilità e tutte le alterità che il senso comune, per limiti/confini morali e inadeguate capacità scientifiche, non riusciva a includere nel alveo della “normalità”. Basaglia riuscì ad imporre un nuovo paradigma: cancellare l’esperienza dei manicomi, trasformare la società in “società terapeutica”, una società che cura, che si cura, una società che si prende cura dei suoi elementi “deboli”, dei suoi corpi fragili. La 180 fu precorritrice della legge che costituì, pochi mesi dopo, il sistema sanitario nazionale, la 883. Si gettarono così le basi per l’istituzione dei servizi pubblici territoriali con funzioni preventive, curative, riabilitative e assistenziali. Ma le strutture territoriali sono diventate, nel tempo, terreno per la sperimentazione di un welfare a basso costo. Dopo aver sancito limiti invalicabili alla discrezionalità per i ricoveri coatti e la necessità di costituire percorsi di formazione per il personale, nulla è stato più fatto. Anzi si. E’ stato determinato un graduale dis-investimento nelle strutture territoriali e abbandonato l’ambito dell’assistenza alle azioni virtuose del privato sociale e alle famiglie, tanto da trascinare la professione dell’operatore sociale nell’ambito del volontariato dove è quasi “strano” essere pagati, ricevere un reddito.

Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni il cui unico scopo è spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale. Ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe e con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori. Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza.

Questo è stato il motivo che ci ha spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

Continue reading

TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

 

Tour 180 ci ha visti impegnati e impegnate in cinque tappe che si sono svolte tra Maggio e Giugno del 2018. Abbiamo dato luogo a cinque momenti di discussione sulla Legge 180, o Legge Basaglia, che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da anni erano recluse nei manicomi. Abbiamo scelto questa strada perché il 2018 segna l’anniversario dei 40 anni da quegli eventi. Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni per le quali l’unico scopo è ormai da troppo tempo, spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale.

Tour 180 è stato un ciclo di incontri in cui ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe. Ma ci siamo confrontati anche con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori.

Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza. Questo era stato il motivo che ci aveva spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

12 Maggio – PRESENTAZIONE DEL BLOG

Nel primo incontro non erano presenti tecnici del settore, ma solo colleghi e colleghe. Dopo qualche intervento, si palpava la frustrazione di tanti e tante che sentono la propria professionalità stravolta da fantomatiche esigenze di servizio e dalla scure dell’austerity. La percezione diffusa era quella di un de-mansionamento progressivo che riduce la nostra figura professionale alla stregua di “badante” se non di “secondino sociale”, di controllore sociale, e di come sia “oscura” la strada che ci possa portare fuori, insieme, dalla condizione di sfruttamento.

 

CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO CCNL COOPERATIVE SOCIALI

Per i dipendenti e soci delle Cooperative sociali esercenti attività nel settore socio-sanitario, assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo

Firmato nel 2014 da: UNCI e CISAL

Da notare nella premessa:
…Le parti stipulanti, oltre a dare valenza al duplice livello di contrattazione, che produrrà positivi risultati, hanno ritenuto opportuno inserire nel contratto un impianto normativo rivolto a migliorare il rapporto di lavoro. Sono previsti, infatti, istituti di garanzia contrattuale, una più efficace azione di tutela dei lavoratori e di salvaguardia dei loro diritti, ferma restando la facoltà delle aziende di esercitare liberamente e con profitto il diritto di impresa e di associazione…

2014 coop CONTRATTO NAZ

CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO CCNL COOPERATIVE SOCIALI

Per le lavoratrici e i lavoratori delle cooperative del settore Socio-Sanitario-Assistenziale·Educativo e di Inserimento Lavorativo • Cooperative Sociali

Firmato nel 2011 da;
ASSOCIAZIONE GENERALE COOPERATIVE ITALIANE – SOLIDARIETÀ
FEDERSOLIDARIETA’ – CONFCOOPERATIVE
LEGACOOPSOCIALI
FUNZIONE PUBBLICA – CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA LAVORO (FP-CGIL)
FEDERAZIONE DEI LAVORATORI PUBBLICI E DEI SERVIZI – CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI LAVORATORI (CISL FP)
FEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI ADDETTI SERVIZI COMMERCIALI AFFINI E DEL TURISMO CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI LAVORATORI (FISASCAT/CISL)
UNIONE ITALIANA del LAVORO – FEDERAZIONE POTERI LOCALI (UIL-FPL)

Da notare nella premessa:
…ferme restando le prerogative statutarie e le delibere delle assemblee sociali, per quanto attiene al trattamento economico complessivo delle socie-lavoratrici e dei soci-lavoratori delle cooperative si fa riferimento a quanto previsto dal presente CCNL….

2012 coop CONTRATTO NAZ

 

PAROLE OBBLIGATORIE – PENSIERI NECESSARI

Di fronte a certi eventi, sopraggiunge la desertificazione del linguaggio. Non si trovano più le parole. Quelle che ci sono, ci appaiono insufficienti. Inadeguate. A volte irritanti. Bisogna quindi camminare, resistere, fino a incontrare una oasi. Non potrà offrirci quanto necessitiamo, ci aiuterà però a trovare un piccolo conforto. Attenuerà la sete, seppure non togliendola del tutto.
Quanto accaduto, arrogandomi il diritto di interpretare lo stato d’animo di molti di noi, ci ha tolto il respiro. Come se un colpo di mannaia fosse arrivato, improvviso e inaspettato, sulle nostre esistenze. Un colpo vigliacco, alle spalle. Anche se va dritto al cuore. In questi momenti ci si ritrova disorientati, quasi inermi; il peso è di così grandi dimensioni che si dispera da subito di sopportarlo. Si perde la la lucidità. È esattamente in questi momenti però, che bisogna fare del tutto per recuperarla.

Continue reading