Siamo operatrici e operatori del sociale. Siamo Assistenti domiciliari, AEC, Assistenti specialistici, Operatori di casa famiglia/centro diurno/ comunità, Mediatori culturali. Siamo oltre 680 mila, lavoriamo 365 giorni l’anno in una giungla di appalti e finanziamenti pubblici contorti. Siamo i Social Workers.
Nonostante in Italia ci siano oltre quattro milioni di persone con disabilità (6,7% della popolazione), che nel 2020 arriveranno a 4,8 milioni (7,9%) e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040 (10,7%). Nonostante che a questi numeri vanno aggiunte le persone che non rientrano all’interno delle classificazioni della disabilità ma delle fragilità sociali (minori a rischio, migranti etc…). Nonostante questi numeri impressionanti, viviamo sulla nostra pelle e osserviamo come precipiti inesorabilmente sulla pelle delle persone che assistiamo, la contrazione progressiva delle risorse dedicate allo sviluppo degli interventi nel sociale. Il nostro lavoro è relegato alla marginalità, costringendoci ad una precarietà lavorativa ed esistenziale che, da un lato nuoce gravemente allo sviluppo dei progetti, dall’altro dequalifica il lavoro che facciamo rendendolo spesso inefficace e frustrante. La precarietà è già selvaggia, i contratti quasi non esistono e, dove esistono, nessuno sembra considerare il nostro un lavoro vero e proprio.
Se da una parte ci viene riconosciuta una estrema importanza per il supporto che offriamo nella gestione delle fragilità sociali, dall’altra siamo sottoposti brutalmente alle leggi di un mercato del lavoro che cancella ogni diritto e la nostra dignità.

<strong>COSA VOGLIAMO</strong>

Vogliamo rompere il cerchio dell’invisibilità.
Vogliamo dare dignità a chi quotidianamente, ostinatamente, lavora per darne a chi è escluso dalla spietatezza del mercato, rinchiusi/e nelle artificiali categorie della “fascia del disagio”. Vogliamo amplificare la voce di chi la sente sempre più soffocata dalla precarietà e dallo sfruttamento. Vogliamo i Servizi Sociali al servizio della società e non del lucro per pochi. Vogliamo un salario degno e garantito.
Vogliamo l’internalizzazione dei Servizi Sociali.
Vogliamo demolire la logica del bando, utile a chi cerca solo gli utili.
Vogliamo dire a chiare a lettere che il lavoro è lavoro e il volontariato è volontariato. Vogliamo smascherare chi spaccia l’uno per l’altro e riempie le proprie casse. Vogliamo che la povertà dei molti non sia più fonte di ricchezza per pochi e che la disperazione non sia il core business delle imprese sociali. Vogliamo che l’unica impresa sociale sia quella di sconfiggere la povertà.
Vogliamo fare rete dove regna sovrana il divide et impera.
Vogliamo sconfiggere il virus della sconfitta.
Vogliamo combattere il burn out e dare fuoco alle passioni.
Vogliamo documentare, testimoniare, raccogliere le esperienze di tanti/e lavoratori e lavoratrici del sociale che non si rassegnano all’ineluttabilità del silenzio.
Vogliamo ricomporre dove il mercato vuole distruggere.
Vogliamo con la consapevolezza che a volte vorremmo.
Vogliamo con la convinzione che a volte dovremmo.
Vogliamo che il Terzo Settore non sia la punta avanzata del terziario.
Vogliamo ribadire che l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici è un’arma imprescindibile contro chi alimenta la frammentazione. E la frammentazione è un’arma micidiale in mano a enti locali delocalizzati, amministrazioni pubbliche privatizzate, cooperative sociali geneticamente modificate e sindacati compiacenti.
Vogliamo impedire che il refrain dei tagli al sociale sia recitato con la solita impunita e ormai consuetudinaria indecenza della necessità economica.
Vogliamo che la coscienza abbia il sopravvento sull’acquiescenza.
Vogliamo affermare con determinazione e senza esitazione, che siamo antifascist* antirazzist* antisessist* e anticapitalist*.
Siamo realisti e quindi vogliamo l’impossibile.

<strong>IL BLOG</strong>

L’estrema precarietà alla quale ci sottopongono, ci porta spesso ad ignorare i nostri diritti e a riconoscere le cattive condizioni di lavoro in cui operiamo. Tra di noi si è diffuso un sentimento di rassegnazione all’assenza di qualsiasi forma di diiritto. Quando poi nasce un esperimento di rivendicazione rimane isolato. Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di aprire uno spazio che possa essere attraversato da una narrazione condivisa delle nostre biografie messe al lavoro e fornire strumenti utili alla costruzione di un linguaggio comune. Il blog deve essere uno strumento di valorizzazione di tutte le realtà già esistenti e di coinvolgimento attivo delle lavoratrici e dei lavoratori del settore.
Il nostro auspicio è che in questo blog tutti/e possano esprimersi, tutti/e abbiano la possibilità di raccontarsi, uscire allo scoperto e denunciare le proprie condizioni di lavoro e di vita. Uno spazio aperto capace di attivare nuove soggettività consapevoli del contesto frammentato in cui operano e in grado di entrare in relazione con altri/e. Un percorso di continuo aggiornamento dove le tematiche del salario, della precarietà, del bisogno di riconoscimento personale, salariale e contrattuale, del disagio, della frustrazione, della necessità di sentirsi rappresentati, smettano di essere mero argomento di un lamento sterile e attivino la resistenza allo sfruttamento che grava su chi lavora nella “filiera” dei servizi sociali.

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Intervista rilasciata alla webradio <strong>Radio 32, </strong>che si definisce agorà della salute, ossia una spazio fisico e virtuale dove poter parlare e confrontarsi sulle più importanti questioni sanitarie e sociali.

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