L’INCONTRO

“Ero fermo alla stazione aspettando un treno che non arrivava mai. Non sarebbe mai arrivato. Tutt’intorno un deserto, popolato qua e là da gigantesche cattedrali in fiamme. Cintate da muri insormontabili. Milizie armate a loro difesa. Urla e disperazione al loro interno. Ero seduto su una panchina, potevo vederle dall’alto. Come un uccello in volo. Un predatore.
Un uomo dall’enorme cappello a larghe tese si avvicina, semi-offuscato da un sigaro altrettanto enorme. Vedo le sue mani, sono artigli. Gli occhi incavati senza bulbo oculare. 
I suoi artigli fanno cenno a me di andare. Ha inizio la carneficina. 
Gli fracasso la testa sulle rotaie, ne fuoriesce una specie di sangue nero e denso.
Gli rivolto il sigaro nella bocca, che lentamente, lentamente, lentamente, prende fuoco.
Gli artigli si dimenano come seguissero uno swing immaginario, fino a polverizzarsi. Prendo fiato, rido, mi riaccomodo sulla panchina.

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IN PUNTA DI PIEDI

Se volete un lieto fine, questo dipende, naturalmente, da dove interrompete la vostra storia.

Quando si racconta una storia che ha a che fare con la disabilità, di solito si racconta di sofferenze e disperazione. Sia chi racconta che chi la vive immagina, la, tra le pieghe, nascosto, un lieto fine. Con il passare del tempo, si comincia a considerare un lieto fine anche ogni piccolo cambiamento, ogni piccola evoluzione. Un espediente effimero, necessario alla sopravvivenza dei familiari e degli operatori che sui singoli casi spendono la propria vita professionale ed emotiva. Un gioco simbolico che permette di andare avanti ad entrambi, operatori e famiglie, e non cadere nelle forme depressive che spesso incontriamo nelle nostre esperienze quotidiane.

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HO VISTO COSE CHE VOI UMANI…

Non saprei dire qual’è il motivo preciso per cui lavoro nel sociale, non ricordo neanche quando ho scelto di intraprendere questa strada. Ricordo però che, fino a qualche anno fa, alle domande “che lavoro fai? Perché?”, avrei risposto che “ho curato attentamente la mia formazione e quel che faccio mi piace, mi soddisfa e mi fa stare bene”. Ora le cose sono cambiate ed il risultato è che non mi sento più a mio agio. Ogni giorno provo come posso a sciogliere i nodi di matasse ingarbugliate ma non arrivo a nulla. Sento di restare sempre intrappolata tra burocrazia, regole delle Cooperative Sociali, impossibilità di far valere la mia professionalità.

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Ex-doppia

Improvvisamente, così, senza che una riunione d’equipe decretasse un qualsiasi tipo di evoluzione rispetto ad un piano d’intervento mai discusso, senza che gli attori principali, cioè quelli che se ne erano fatti carico quotidianamente si fossero confrontati, quel caso era tornato ad essere responsabilità di un operatore solo, un’utenza singola. Che cosa era successo? Cosa aveva portato la responsabile del servizio domiciliare a prendere quella decisione? Era forse migliorata la condizione dell’utente? Era migliorata la condizione familiare? Si era arrivati a conclusione di un qualche percorso pianificato?…Macché!

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