TOUR 180

… “la legge, per il solo fatto di esistere, è importante. Crea infatti discussioni continue, ci smuove e, soprattutto, non nasconde la sofferenza mentale”.  L’anniversario della riforma, allora, è anche un’occasione per rinfrescare la memoria e far luce su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da lavorare. Infatti, sostiene Alberta, “la legge non viene applicata in tutte le sue forme. Mancano la presenza capillare dei servizi di igiene mentale pubblici, aperti 24 ore su 24, dei presidi negli ospedali e la disponibilità di appartamenti nei quali le persone possano essere sì seguite, ma anche libere di vivere la propria vita. In molti posti la legge è mal letta e applicata, non ci si fa carico delle persone. Chi si occupa di welfare e sanità dovrebbe prendersene cura”.

Alberta Basaglia

Vicepresidente della Fondazione Franco e Franca Basaglia

Tra Maggio e Giugno del 2018, abbiamo costruito un ciclo di incontri con operatori e operatrici dei servizi sociali di Roma. Lo abbiamo chiamato “Tour 180” perché il 2018 coincide con il quarantennale della legge 180, o Legge Basaglia, la legge che stravolse il mondo della psichiatria in Italia. Non è stata una mera scelta opportunistica per dare visibilità al nostro progetto, ma una vera e propria rivendicazione di una legge mai completamente applicata se non disattesa. La 180 fu una vera e propria rivoluzione capace di mettere in discussione, con un lavoro di 10 anni, l’approccio con le persone che da erano recluse nei manicomi, restituendole alla società. Ma i detrattori di questa legge dimenticano (anelando il ritorno alla legge del 1908), o vogliono dimenticare, che i manicomi erano strutture adibite alla reclusione, non solo dei cosiddetti “malati psichiatrici” tout court, ma di tutte le persone fragili con diverse tipologie di disabilità e tutte le alterità che il senso comune, per limiti/confini morali e inadeguate capacità scientifiche, non riusciva a includere nel alveo della “normalità”. Basaglia riuscì ad imporre un nuovo paradigma: cancellare l’esperienza dei manicomi, trasformare la società in “società terapeutica”, una società che cura, che si cura, una società che si prende cura dei suoi elementi “deboli”, dei suoi corpi fragili. La 180 fu precorritrice della legge che costituì, pochi mesi dopo, il sistema sanitario nazionale, la 883. Si gettarono così le basi per l’istituzione dei servizi pubblici territoriali con funzioni preventive, curative, riabilitative e assistenziali. Ma le strutture territoriali sono diventate, nel tempo, terreno per la sperimentazione di un welfare a basso costo. Dopo aver sancito limiti invalicabili alla discrezionalità per i ricoveri coatti e la necessità di costituire percorsi di formazione per il personale, nulla è stato più fatto. Anzi si. E’ stato determinato un graduale dis-investimento nelle strutture territoriali e abbandonato l’ambito dell’assistenza alle azioni virtuose del privato sociale e alle famiglie, tanto da trascinare la professione dell’operatore sociale nell’ambito del volontariato dove è quasi “strano” essere pagati, ricevere un reddito.

Abbiamo scelto Roma perché è la città che ospita ancora il Santa Maria della Pietà e che è stato il più grande manicomio europeo. A distanza di tanti anni, abbiamo provato a fare luce sui servizi alla persona con lo sguardo di chi in quei servizi ci lavora. Lo abbiamo fatto convinti che gli addetti ai lavori, gli operai sociali, ignorano spesso le basi storiche che hanno portato alla nascita di questo mestiere. Siamo convinti che solo conoscendo le radici del nostro ruolo possiamo prendere coscienza del delitto commesso dalle istituzioni il cui unico scopo è spendere poco e risparmiare il più possibile sull’assistenza alle persone oggetto-soggetto d’intervento sociale. Ci siamo confrontanti con tanti colleghi e colleghe e con altri addetti ai lavori: gli psichiatri Piero Cipriano, Teresa Capacchione e gli autori di “Padiglione 25”, Massimiliano Carboni e Claudia Demichelis, insieme a Vincenzo Boatta, ex infermiere del santa Maria della Pietà. Sono stati incontri che ci hanno lasciato tanti spunti di riflessione. Ma la cosa che più ci ha colpiti è stata lo scoprire che la figura professionale degli operatori e delle operatrici sociali era a loro sconosciuta. Noi conosciamo loro, ma loro non conoscono quei tanti/te “lavoratori/trici del sociale” che lavorano nei territori. Abbiamo provato a mettere in connessione, anche se per una sera sola, tutte quelle figure professionali che dal maggio del 1978 Basaglia, con la sua legge, aveva immaginato dovessero lavorare insieme. Ma abbiamo scoperto che così non è. Lavoriamo da anni nel Terzo Settore, chi nelle scuole, chi a domicilio, chi nei centri diurni, chi nelle case-famiglia, e sappiamo bene che non esiste il lavoro di rete auspicato da Basaglia. Esistono solo tante figure professionali atomizzate che lavorano senza confronto e senza scambio, a scapito dell’utenza e degli stessi lavoratori/trici a diretto contatto con l’utenza.

Questo è stato il motivo che ci ha spinti a costituire un blog (Social Workers) e di presentarlo in questo modo. Lo scenario che ha aperto il tour ha superato in peggio le nostre aspettative e ci ha lasciato una prospettiva di lavoro più gravosa di quanto già pensavamo.

12 Maggio – Presentazione del blog “SOCIAL WORKERS”

La sera del 12 Maggio apriamo il Tour ospiti di Chourmo, storica vineria/birreria nel cuore della Certosa. Salvatore, ex operatore di Torino, ci accoglie entusiasta partecipando attivamente all’organizzazione dell’evento. Le sue parole di saluto sono emozionanti. Non sono presenti tecnici del settore, ma solo colleghi e colleghe, assistenti domiciliari, AEC/OEPA, operatori/trici di centro diurno, casa-famiglia.

Dopo qualche intervento è già palpabile la frustrazione di tanti e tante che sentono la propria professionalità stravolta da “esigenze di servizio” e dalla scure dell’austerity.

La percezione diffusa è quella di un de-mansionamento progressivo che riduce la nostra figura professionale alla stregua di “badante” se non di “secondino sociale”, di controllore sociale, e di come sia “oscura” la strada che ci possa portare fuori, insieme, dalla condizione di sfruttamento.

7 Giugno – Presentazione del libro “Basaglia e la metamorfosi della psichiatria”

https://www.facebook.com/lapecoraelettricacentocelle/

https://www.facebook.com/pierocip

A Roma Giugno è già un mese estivo.Nel corso del secondo incontro, teniamo le porte spalancate della Pecora Elettrica, una libreria/caffetteria ai confini tra Centocelle e Quarticciolo, Roma Est. Fa caldo e tutti non entriamo senza soffrire. Oggi, con la presentazione del libro “Basaglia e le metamorfosi della psichiatria” di Piero Cipriano, abbiamo il primo impatto con una cruda realtà.

Anche chi si “sbraccia” affinché la legge 180 non venga cancellata, anche alla luce delle nuove forme manicomiali che si vanno affermando, e dovrebbe far parte della rete territoriale, non conosce affatto l’esistenza della nostra figura professionale.

Nel corso della chiacchierata proviamo ad affrontare un gap evidente tra tecnici e operatori. Un gap del sistema che non ha mai fatto funzionare la rete auspicata da Basaglia, dove gli operatori/trici sono quelli che dovrebbero garantire la ri-territorializzazione della “follia” (non ci riferiamo ovviamente solo ai cosiddetti pazienti psichiatrici, ma a tutte quelle fasce del disagio sociale che prima del 1978 sarebbero state rinchiuse in un manicomio).  Se dal suo punto di vista, dall’interno di un SPDC, Piero Cipriano si concentra sulle nuove forme di manicomio diffuso (terri-comio) e descrive il panottico digitale in via di formazione che si nutre della semplificazione lessicale determinata dai social-network con i loro dopaminici, semplici e veloci like e dis-like, Teresa Capacchione, dal suo punto di osservazione, cioè un DSM, invece riconosce il nostro ruolo ma non ha idea di come sia organizzato il lavoro all’interno delle cooperative.

15 Giugno – Presentazione di “Padiglione 25 – diario degli infermieri”

Questa sera siamo ospiti nel luogo dove oramai ci riuniamo da tempo per la redazione del blog. Casale Garibaldi/common at work è nel quartiere Casilino 23.

facebook.com/casalegaribaldi2017/

L’impatto con la nostra invisibilità si ripete nella terza tappa.  Nel corso della presentazione del documentario “Padiglione 25: diario degli infermieri”, con Massimiliano Carboni (autore del documentario), Claudia Demichelis (curatrice del libro allegato) e Vincenzo Boatta (ex infermiere del santa Maria della Pietà), abbiamo provato a confrontare l’esperienza degli operatori/trici del passato con gli attuali.

Oltre alla potenza evocatrice di Vincenzo e l’impegno pagato a caro prezzo dagli autori, abbiamo percepito una cesura netta tra gli eventi che caratterizzarono l’apertura di manicomi e i processi di liberazione degli internati, con tutto quello che è accaduto dopo. Una frattura generazionale tra chi ha frantumato le mura di una delle segregazioni più orribili che l’umanità abbia mai realizzato e la generazione che di quel passaggio rivoluzionario ha portato il peso della continuità, della possibile evoluzione.

19 Giugno – Presentazione di “La rivolta del riso”

Abbiamo così sentito la necessità di presentare, nella quarta tappa, “La rivolta del riso”, libro curato da Renato Curcio. Abbiamo fatto questa scelta perché abbiamo riconosciuto l’importanza di un lavoro nato dalle conclusioni di un cantiere di socioanalisi narrativa tenuto a Milano dall’autore stesso tra il 2013 e il 2014.

Nel libro l’autore ha raccolto le testimonianze di nostri e nostre colleghe che parlano. Parlano le testimonianze delle loro esistenze messe al lavoro. In quel contesto siamo noi che parliamo. A Roma, Napoli, Milano o qualsiasi altra città d’Italia, si lavora tutti/e alla stesso modo e tutti/e male allo stesso modo nel mondo del Terzo Settore, in questi decenni dimostratosi un efficace dispositivo capace di fa risparmiare denaro alle istituzioni pubbliche, offrendo servizi scadenti agli utenti, e demansionando il lavoro. Ma anche terreno per forme clientelari che sta spalancando le porte alla privatizzazione selvaggia del lavoro sociale, ad un salto nel passato dove il diritto all’assistenza e la qualità dell’intervento si perdono in una giungla spietata.

Il confronto si è snodato sugli strumenti necessari per conoscersi e riconoscersi come lavoratori che fanno parte di una reale “Comunità di Condizione”,  riconducibile a un insieme di caratteristiche unitarie.

19 Giugno – Presentazione di “La rivolta del riso”

Il tour si è concluso con una assemblea pubblica cittadina. I presenti si sono confrontati in particolare sul nuovo regolamento per l’assistenza ai bambin/e, ragazzi/e nelle scuole di Roma, approvato dalla nuova giunta capitolina. Sono stati individuati una serie di punti critici nel nuovo regolamento in cui l’AEC diventerà OEPA (operatore educativo per l’autonomia). E’ stato evidenziato il problema della copertura finanziaria riguardo alla mensa, le gite, la formazione, il lavoro di rete. Preoccupa il maggiore potere di controllo e valutazione attribuito a famiglie e scuole, rispetto a una progressiva de-responsabilizzazione del comune che si ripercuoterà sull’efficacia dei nostri interventi di inclusione e di autonomia. Ma soprattutto gli AEC si sono lasciati con la preoccupazione di sopravvivere durante i mesi di chiusura scolastica senza salario e senza ammortizzatori sociali.”