PER CHI SUONA LA CAMPANELLA?

Ogni anno in settembre, quando comincia l’anno scolastico, le donne nelle cartolerie dei sobborghi comprano i libri di scuola e i quaderni per i loro bambini.   Disperate cavano i loro ultimi soldi dai borsellini logori, lamentando che il sapere sia così caro. E dire che non hanno la minima idea di quanto sia cattivo il sapere destinato ai loro bambini

(B. Brecht)

Oltre i cancelli, tra le nubi dei gas di scarico e la calca dei genitori, i bambini sono pronti a scattare. Quest’anno cambio scuola, non conosco né la nuova responsabile che comunica via whatsapp, né con chi mi tocca lavorare. Mi piace dire “con” anche se molti colleghi ormai accettano di “stare su” qualcuno, senza mettere  minimamente in discussione la condizione asimmetrica di potere che intercorre tra l’operatore ed il bambino. Mi vengono fornite indicazioni veloci, cognome e classe, prima che la campanella decreti l’apertura delle porte. In un giorno vedo quattro bambini ed il giorno successivo sto “su altrettanti”. Anche quest’anno si parte a singhiozzo, anzi con un servizio strozzato dai tagli. Come se non bastasse, la referente della scuola mi dice che noi dovremmo tappare i buchi, visto che le insegnanti di sostegno non sono sufficienti. Insomma ci tocca fare il baby-sitteraggio. Per ora è sufficiente la sola presenza, ma voci di corridoio mi dicono che ormai è la normalità in quest’istituto. Non mi sento molto diverso da quel bambino che la mia collega sta contenendo su un gradino delle scale, ma io non posso permettermi di sbroccare, devo restare freddo con il fuoco dentro.

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