Si-può-fare!

La larga partecipazione alla mobilitazione del 12 dicembre 2019 a Roma, ha un valore che va oltre la battaglia per la (re)internalizzazione degli AEC/OEPA. La decisione degli operatori e delle operatrici sociali di aderire ad uno sciopero (mai avevano osato tanto), ha un significato fondamentale per il proseguimento del percorso iniziato dal Comitato Romano AEC ma anche per la diffusione del protagonismo di chi lavora nei servizi sociali. È stata vinta una battaglia importante e per nulla scontata, la battaglia contro la paura che attanaglia i dipendenti delle cooperative. Si è rotto l’argine. La mobilitazione ha prodotto un effetto domino sui corpi che hanno invaso la piazza del Campidoglio ma anche su chi non ha avuto ancora il coraggio di partecipare. Condividendo pubblicamente il rifiuto della triste convenienza della servitù volontaria che ottenebra il terzo settore, si è aperto uno squarcio su una consolidata normalità che ci vorrebbe figure professionali passive, fiacche e in concorrenza tra loro. Si è dissolto l’equivoco storico dietro il quale si cela il martellio opprimente della sottomissione e dell’impotenza usato dai CDA delle cooperative per imporre qualsiasi condizione pur di lavorare. La dimensione aziendale delle cooperative ha da sempre fuso nella stessa persona la qualità di intraprenditore e di lavoratore, facendo scomparire, formalmente, ogni motivo di ostilità e di conflitto tra il datore di lavoro e il dipendente subordinato. Lo schiacciamento di questo dualismo terrificante ha finalmente allentato la sua presa.

Allora si può fare! Ci dicevamo in piazza guardandoci negli occhi sorridenti e sbalorditi. Si può scioperare! Si possono incrociare le braccia e dire “oggi non lavoro!”. Con una buona comunicazione, che ha funzionato specialmente nella relazione vis a vis, abbiamo espresso pubblicamente l’indisponibilità ad offrire ulteriormente prestazioni just in time prive di qualità ed efficacia. Le attuali condizioni dell’intervento educativo, infatti, ci costringono a tradire il nostro mandato professionale, cioè quello di operare ai fini dell’autonomia e della piena socializzazione delle persone con cui lavoriamo. L’ inclusione non esiste senza i valori etici della solidarietà, della giustizia e dell’uguaglianza sociale, della lotta contro la povertà, del rispetto e la protezione della libertà. E per questo motivo che è stata (ri)scoperta la funzione originaria dello sciopero, cioè quella di causare un disagio e spostare l’attenzione sul sommerso, sul non detto dell’essenza del nostro lavoro: creiamo ricchezza, partecipiamo e teniamo sulle nostre spalle il sistema dei servizi alla persona, quindi assolviamo un compito sociale che ci deve essere riconosciuto con reddito e contratti dignitosi.

Abbiamo preso coscienza che uniti abbiamo molto più potere anziché presi singolarmente. D’ora in poi sappiamo che muovendoci insieme, collettivamente, le minacce e le intimidazioni dei responsabili di servizio, dei mastini delle aziende della presa in cura, cadono nel vuoto e restano sterili. Perché insieme possiamo condividere informazioni, mandati, mansioni, protezioni legali, consapevolezza. Abbiamo preso atto che non siamo isolati nella relazione con i datori di lavoro. Si è finalmente rotto quell’incantesimo che rendeva impossibile anche solo immaginare una qualsiasi forma di opposizione al sistema di comando e subordinazione privo dei più elementari diritti del lavoro. In tanti hanno acquisito la consapevolezza che è possibile dire “date a noi e ai fruitori dei servizi quello che ci spetta. Che alla dignità del lavoro corrisponde la qualità dei servizi. Che è possibile parlare con i colleghi del proprio lavoro, del proprio disagio professionale, prescindendo dalle sterili lamentele. Che è possibile scioperare nonostante l’opera di concertazione e gli accordi con le centrali cooperative dei sindacati confederali. Con il sostegno dei sindacati di base Cobas, CUB e USB, infatti, lo sciopero ha registrato l’adesione di più del 70% degli operatori e delle operatrici. Ora è necessario vigilare sulla discussione della delibera AEC/OEPA in Consiglio Comunale. Ora è necessario dotarci degli strumenti per allargare il conflitto con l’obiettivo di sfilare il sistema dei servizi sociali alle logiche di mercato e ai bandi al massimo ribasso. Ora è necessario trovare forme di comunicazione e di mobilitazione che possano consentire la partecipazione dei tanti precari, di cui le cooperative si dotano per sopravvivere.